Usciva in strada a inseguire l'ispirazione, trasaliva per averla colta, poi
abbandonava la sua opera e ne vagheggiava un'altra piu' bella.
(Gustave Flaubert, L'educazione Sentimentale )
Languiva il giorno quel giorno.
Le ore della sera lo rincorrevano lente. Ma inesorabili.
“L’ispirazione”, pensò, “l’ispirazione è l’anima dell’arte, il suo asse portante, la sua ossatura”.
Cosa fosse per lui l’ispirazione è presto detto: era ciò che è chiamato “sentimento” dalle massaie, “amore” dalle adolescenti. E “romanticismo” dai professori di liceo beoti quando fanno il paragone con l’illuminismo. “Sensibilità”, dalle vecchie zie grasse, amanti dei fiori.
Socchiudendo gli occhi, scrutò a lungo l’orizzonte e, come rapito, decise d’un tratto che dello splendido panorama che aveva di fronte ne avrebbe fatto un disegno.
Tirò fuori dalla tasca del lungo cappotto nero l’inseparabile taccuino su cui annotava le sue emozioni e tracciò, su un foglio libero, la linea dell’orizzonte.
Sulla parte destra del foglietto tracciò invece una linea verticale con l’intenzione di riprodurre l’alberello che era alla sua destra.
Dopo i primi due tratti si accorse però che forse l’ispirazione non era bastata a far somigliare il suo schizzo a quanto aveva di fronte.
Prese allora a fissare turbato quanto aveva tracciato sul foglio.
Lo fissò per un po’… poi, pian piano, qualcosa cominciò ad affiorare alla sua coscienza.
“…massi’ ” pensò”come ho fatto a non vedere!”
Quelle due linee incrociate erano in realtà molto di più di quello che sembravano.
L’ispirazione gli aveva fatto da scandaglio per l’ inconscio, permettondogli di tracciare le linee del suo personale, destrutturato, tramonto d’autunno.
Era un’emozione indescrivibile scoprire l’armonia di quelle forme apparentemente banali.
Una sorta di ritorno all’infanzia, ai primordi della sensazione.
Al pleistocene della percezione.
Che movimento, che energia, che scalpore promanava da quei semplici tratti.
“L’orizzontale dell’orizzonte si oppone al verticale dell’alberello che a sua volta interrompe la continuità spazio temporale dell’orizzontale dell’orizzonte”, pensò.
“Ecco! Il tempo del disegno, e, se vogliamo, lo spazio della musica!”
D’ora in poi il tramonto lo avrebbe visto così, come bloccato sul blocchetto: era quello il suo immaginario destrutturato, quello il suo vero tramonto.
Sentiva di averne carpito l’essenza ermetica, intima, vaginale.
“Dove non c’è spazio, non c’e’ luce, non c’e’ materia. Solo orizzontale e verticale.”
D’altra parte, come avrebbe la sua mano, così ispirata, potuto sbagliare qualcosa?
“Non c’è niente di sbagliato nell’arte”, pensò, “perché tutto esprime qualcosa, esprime qualcuno, esprime…esprime e Basta!”.
L’emozione si fece insostenibile.
Divenne commozione.
Si passò sugli occhi una manica del cappotto.
Il coglione.
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