giovedì, luglio 26, 2007
care amiche, cari amici.
astrosio stamane parte per le spiagge, e qualcuno sarà solo quaggiù in città. questo, non per darmi importanza, ma solo per seguire il testo della canzone. ma quello che volevo dire è un'altra cosa. e cioè che siccome che la casa mia al mare, di cui in immagine uno scorcio del giardino, ha bisogno di un periodo di training ogni volta che la riapro, è probabile che aggiornerò il blog con minore frequenza, o forse mai fino alla fine di agosto. io spero che tutto vada bene e che i cavi, le connessioni, i tubi in generale, rimasti quiescienti durante l'inverno, si facciano trovare pronti e operativi. ma non posso giurarci. e poi, devo dire la verità, vado verso l'azzurro: il mare, il cielo e il gelato al gusto puffo. e ovviamente sono elementi che distraggono da altre attività. e forse esistono proprio per questo. il mare, il cielo e il gelato al gusto puffo.
Vi amo tutti quanti.
astrosio
martedì, luglio 24, 2007
Rocco, Astrosio e il Catamarano - III
Allora, ci mettiamo a guardare. Ovviamente non essendo cambiato il fottutissimo splendido vento che c'era il giorno prima, lo stronzo incontrava le nostre stesse difficoltà. E tira una volta, e tira due e tira tre. Niente. E dalla spiaggia si nota che sta perdendo la calma. E tira un'altra volta, e tira un'altra volta ancora, niente. E noi a urlare, a ridere, a rotolarci sulla sabbia come i pazzi. Mentre M. si allontana. Finché qualcuno (non fra noi) ha il buon senso di chiamare la guardia costiera che lo va a rimorchiare. BUHAHAHAHAHAHAHAH! E la sera... lo aspettiamo al varco. Al bar del porto. E arriva! Ovviamente finisce in mezzo a un cerchio di "bomboloni", fra cui il mio tatuatore (Quello che mi ha fatto i tatuaggi che effigiano il mio mortale simulacro) alto quasi due metri, grosso, cattivo (molto cattivo). Ora purtroppo non ricordo le cose che gli abbiamo detto, ma gliene dicemmo tante. E lui rosso come un'anguria matura, non riusciva a ribattere. O meglio, ci provò anche. Disse a un certo punto: "va bene, ok. siamo pari. la rivincita ce la giochiamo a pallone". E il Fambrus ebbe a dire: "A pallone? A PALLANNUOTO!" E lo sommergemmo. A onor del vero, rimase a sentirsele tutte. Che dimostrò comunque un minimo di onore. Poi però trovò una scusa e fece per andarsene. Allargammo il cerchio per farlo passare e quello, ancora scosso, inciampa nel marciapiede e finisce a terra tenendosi la caviglia "Ahia! Ahiahaiahiaihia!" BUAHAHAHAHAHAH! Due lo vanno a prendere da terra e lo sistemano su una sedia del bar, e gli portano il ghiaccio. L'ultimo ricordo che ho di lui quella sera è seduto sulla sedia del bar con il ghiaccio sulla caviglia. Mentre io e Rocco trangugiavamo birra festanti come avessimo vinto venti miliardi al superenalotto! Grande giornata! Grande mare! Grande vento! Forse vinti venti miliardi non saremmo stati così felici. Ok. Ho esagerato. Forse. Ma credo sia questa la giustizia pagana del mare. Che ripaga e punisce. Lasciato a sé stesso, senza l’intervento umano, il Mare ha le sue regole. Io e Rocco ne abbiamo avuta una piccola dimostrazione.
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Rocco, Astrosio e il Catamarano - II
-fine seconda puntata-
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Rocco, Astrosio e il Catamarano - I
- fine prima puntata-
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lunedì, luglio 23, 2007
domenica, luglio 22, 2007
parola sante - storia naturale
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...in verità vi dico che nulla è impossibile a Dio e che, se lui lo volesse, tutte le donne d'ora in avanti sgraverebbero dalle orecchie. Forse che Bacco non fu generato dalla coscia di Giove, Roccatagliata dal calcagno di sua madre, Masticamosche dalla ciabatta della nutrice, Minerva dal cervello di Giove (passando per un'orecchia), Adone dalla scorza di un albero di mirra, Castore e Polluce dalla coccia di un uovo fatto e covato da Leda? Ma voi sareste ben più meravigliati e sbigottiti se io vi esponessi qui tutto il capitolo di Plinio, là dove si parla di nascimenti strani e contro natura; eppure io non sono nemmeno alla lontana un impostore sfacciato come lui. Leggetevi il settimo libro della sua Storia Naturale, capitolo III, e finitela di rompermi il cazzo.
Francois Rabelais - Gargantua e Pantagruele
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sabato, luglio 21, 2007
lamento
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“Sono lento,
sonnolento,
sono nato
un po’ sonato:
sono messo bene!
sono me, lo so bene”
Mila, mento!
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giovedì, luglio 19, 2007
dichiarazioni spontanee
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e insomma, visto che non c'è due senza tre, ecco un altro racconto òrro. ma stavolta avverto che è molto òrro. forse più òrro degli altri. vabbe'...
Credetemi, non scherzo: la realtà è fatta a fette, e siamo noi a decidere in che fetta della realtà vivere. Lì ci stabiliamo e costruiamo la nostra dimora, che il più delle volte, col passare del tempo, si trasforma in una fortezza dentro la quale ci barrichiamo.
Se, per esempio, scegliamo di condurre una vita onesta e senza pecche, siamo portati a credere che il fango della delinquenza sia qualcosa di marginale, e che si viva in quella fetta di realtà solo per scelta deliberata. Ci siamo, classicamente, “fatti un’idea”. Leggendo giornali e guardando telegiornali. L’idea porta a un’unica conclusione: se ci barricheremo nel nostro cortile, staremo al sicuro. Devo ammettere che se al contrario decidiamo di vivere in maniera bieca, disonesta, immorale, ci consoliamo dicendo cose del tipo “tutti hanno i loro scheletri nell’armadio”...
Nel bene o nel male, viviamo nel nostro cortiletto e consideriamo reale solo quello.
Di certo non lo ammetteremo mai, ma è così. O, quanto meno, questa è l’idea che mi sono fatto.
Così, se decidiamo che le storie strane, bizzarre, astruse, che pure si raccontano, sono tutte frottole facilmente spiegabili, allora trascorreremo una vita tranquilla, tagliando fuori dalla nostra realtà una fetta, non piccola, di domande, dubbi, illusioni. (Pur sapendo benissimo che di domande, dubbi e illusioni è fatta la sostanza stessa della vita.)
Per esempio, c’è una nave chiamata Mary Celeste, che fu trovata nel 1872 con le vele ammainate e una zuppa di porridge mezzo consumata sul tavolo del capitano, e le scialuppe di salvataggio ancora al loro posto… e ci sono quelle coincidenze, che mi fanno veramente impazzire, davanti alle quali chiudiamo gli occhi innumerevoli volte al giorno, come quando, per fare un esempio, alla televisione vediamo un documentario sui pesci spada, e veniamo interrotti dal campanello della porta e sulla soglia troviamo un fattorino con un trancio di pesce spada regalatoci da un amico, e la sera, mentre torniamo in macchina a casa, vediamo l’insegna di una pescheria con il disegno di pesce spada. Sì, immagino che chi stia leggendo, in questo momento stia sorridendo con sufficienza già dimentico delle stranezze accadutegli, magari ben più bizzarre di quella da me descritta. E magari mi compatisce, mi considera un debole, uno che fa esempi stupidi perché fantasia e intelligenza non lo aiutano, invece lui, o lei, ha tenuto duro nel non credere a queste stupidaggini quella volta che… e sorride… ride di me, che mi sto sforzando di raccontare in tutta onestà. (Troppo spesso consideriamo il sorriso un segno di vittoria della nostra razionalità e ironia sulle stranezze della vita, quando invece può essere sintomo della peggiore delle sconfitte: il sorriso è una forma di paura, in certi casi; gli adolescenti ridono del sesso, ridono quando sentono parole come pene o vagina…)
Ma ho già divagato abbastanza. La prima volta che si manifestò il fenomeno non ebbi praticamente alcuna reazione. Ero solo in casa e trovai un posacenere capovolto sul divano del soggiorno. I mozziconi e la cenere sparsi un po’ ovunque, come se il posacenere avesse fatto un salto, dal tavolino di fronte al divano, fino al divano stesso. Come fa uno a pensarci su più di cinque minuti? Eppure era mattina, ero solo in casa, nessun ospite la sera prima, nessuna finestra aperta, niente che potesse neanche lontanamente giustificare una cosa del genere. Non ci pensai più di due minuti, anzi, da subito mi infastidì il fatto di dover pulire. Vivere da soli porta con sé alcune conseguenze, come il fatto che pulire diventa una sorta di lusso che ci si concede una volta ogni tanto…
E poi ero in ritardo, quindi ripulii grossolanamente e andai a lavoro.
Al mio ritorno tutto era al suo posto. Certo, razionalista com’ero, solo una piccola percentuale di me si aspettava di trovare qualcosa fuori posto, ma l’ordine (si fa per dire) della casa mi confortò nella certezza che, per qualche ragione, un posacenere si era ribaltato facendo un salto di circa mezzo metro e si era rovesciato sul divano.
Col passare del tempo i fenomeni aumentarono. Piccole cose, certo: un piatto rotto, la tv che si accendeva da sola, fiammiferi sul pavimento, un tozzo di formaggio nella credenza (mi ricordavo di averlo lasciato nel frigo), un fornello acceso… finché un giorno trovai un giornale sul lampadario.
Pensare è un po’ come respirare. Non si può smettere di pensare, finché si è vivi, e neanche di respirare, neanche mentre si dorme. Ma con la respirazione si può cambiare l’umore di una persona, ci sono tecniche di respirazione che lo permettono. C’è modo e modo di respirare, insomma. E c’è modo e modo di pensare.
I giorni passavano e io cominciavo a pensare in modo diverso. Considerai il fatto che non avevo paura, qualunque cosa fosse, non avevo paura. E ne ero in qualche modo compiaciuto.
Ma una notte mise a dura prova i miei nervi, e vinse.
Mi ero messo a letto da poco, avevo letto due pagine di un libro sulla seconda guerra mondiale e mi si erano chiusi gli occhi sulla parola “bombardamento”. Con gli occhi già chiusi lasciai cadere il libro a terra e spensi la lampada sul comodino. Non so da quanto tempo mi ero addormentato quando sentii… non so bene come definirlo… in genere si usa la parola “colpo”… e cioè un rumore sordo accompagnato da una vibrazione nelle pareti, nel pavimento… che arriva a te come un piccolo spostamento d’aria… al primo colpo ne seguì un altro… aprii gli occhi nel buio… e cercando di acquistare equilibrio e lucidità, provai a capire da dove venissero i rumori. Un altro colpo mi fece sussultare, quasi saltare sul letto. I rumori venivano proprio da lì, sotto di me, sotto il letto. Tremante, mi sporsi dal materasso. Cautamente spostai una mano verso il basso, verso il lembo delle coperte che sfioravano il pavimento quando una mano gelida mi afferrò il polso e mi trascinò giù dal letto. Caddi pesantemente a terra e da sotto il letto intravidi il suo volto tumefatto e grigio. Che nonostante tutto manteneva le tracce di una bellezza struggente. Urlai. E persi i sensi.
Mi risvegliai la mattina dopo sul pavimento. Dolorante e confuso.
Dopo quella notte cominciai ovviamente a dubitare della mia sanità mentale. Qualche giorno dopo presi un appuntamento con un medico specialista in problemi del sonno.
Visto che ero un po’ in anticipo, mi fermai in un bar nei pressi dello studio medico per un caffé. Sorseggiavo con lo sguardo nel vuoto e mi accorsi appena di una donna, o meglio una ragazza sui vent’anni, vestita con un abito lungo, che mi passò vicino. La ragazza, dopo avermi superato, tornò indietro. Me ne accorsi solo quando poggiò una mano inanellata sul bancone. Ci guardammo negli occhi. Ed ebbi paura. Fermo, paralizzato dal terrore, non riuscivo a dire una parola: era la copia esatta della ragazza sotto il letto. Cominciai ad avvertire la pelle d’oca invadere ogni centimetro della mia pelle. Lei se ne accorse e cercò di calmarmi. Si presentò, si chiamava Miriam. Ma non mi tranquillizzai più di tanto. Ero bloccato. Non volevo urlare nel bar, ma forse non ci sarei neanche riuscito.
La ragazza mi tese la mano. Quel gesto mi sciolse un po’ e dopo un momento, riuscii a trovare la forza di reagire. Sentire la sua mano calda stringersi nella mia, finalmente, mi calmò.
Miriam, dopo essersi scusata per il disturbo, senza altri preamboli mi parlò di sua sorella Emilia, scomparsa, nel vero senso della parola, circa due anni prima. Miriam mi spiegò che da quasi un anno avvertiva la presenza della sorella nei posti più impensati, e questo, in qualche modo, l’aveva convinta del fatto che la sorella fosse morta e tentasse di comunicare con lei. Vedeva negli occhi delle persone il suo passaggio, trovava le sue tracce psichiche e le seguiva: questo pensava. E per questa ragione Miriam si trovava lì in quel posto, a quell’ora. Non sapeva spiegarmi meglio, mi disse, quello che le stava accadendo, ma quella sera, in quel bar, aveva visto me e aveva visto di più. E questo l’aveva spinta a superare la soglia della discrezione e a parlarmi a viso aperto.
A quel punto mi chiese di raccontarle cosa avessi visto. Me lo chiese molto gentilmente.
E io le raccontai dell’apparizione. La vidi incupirsi e, dopo il mio racconto, rimase un po’ assorta nei suoi pensieri. Interruppi quel silenzio chiedendole se potesse esserle in qualche modo d’aiuto venire a casa mia per vedere dov’era successo. Lei, dopo qualche indugio, si convinse.
Una volta in casa, in un momento in cui era girata di spalle, le strinsi un laccio intorno al collo e tenni stretto finché non perse i sensi. Presi due giorni di permesso dal lavoro, comprai dell’acido in ferramenta e sciolsi il corpo di Miriam nella vasca da bagno.
Se, per esempio, scegliamo di condurre una vita onesta e senza pecche, siamo portati a credere che il fango della delinquenza sia qualcosa di marginale, e che si viva in quella fetta di realtà solo per scelta deliberata. Ci siamo, classicamente, “fatti un’idea”. Leggendo giornali e guardando telegiornali. L’idea porta a un’unica conclusione: se ci barricheremo nel nostro cortile, staremo al sicuro. Devo ammettere che se al contrario decidiamo di vivere in maniera bieca, disonesta, immorale, ci consoliamo dicendo cose del tipo “tutti hanno i loro scheletri nell’armadio”...
Nel bene o nel male, viviamo nel nostro cortiletto e consideriamo reale solo quello.
Di certo non lo ammetteremo mai, ma è così. O, quanto meno, questa è l’idea che mi sono fatto.
Così, se decidiamo che le storie strane, bizzarre, astruse, che pure si raccontano, sono tutte frottole facilmente spiegabili, allora trascorreremo una vita tranquilla, tagliando fuori dalla nostra realtà una fetta, non piccola, di domande, dubbi, illusioni. (Pur sapendo benissimo che di domande, dubbi e illusioni è fatta la sostanza stessa della vita.)
Per esempio, c’è una nave chiamata Mary Celeste, che fu trovata nel 1872 con le vele ammainate e una zuppa di porridge mezzo consumata sul tavolo del capitano, e le scialuppe di salvataggio ancora al loro posto… e ci sono quelle coincidenze, che mi fanno veramente impazzire, davanti alle quali chiudiamo gli occhi innumerevoli volte al giorno, come quando, per fare un esempio, alla televisione vediamo un documentario sui pesci spada, e veniamo interrotti dal campanello della porta e sulla soglia troviamo un fattorino con un trancio di pesce spada regalatoci da un amico, e la sera, mentre torniamo in macchina a casa, vediamo l’insegna di una pescheria con il disegno di pesce spada. Sì, immagino che chi stia leggendo, in questo momento stia sorridendo con sufficienza già dimentico delle stranezze accadutegli, magari ben più bizzarre di quella da me descritta. E magari mi compatisce, mi considera un debole, uno che fa esempi stupidi perché fantasia e intelligenza non lo aiutano, invece lui, o lei, ha tenuto duro nel non credere a queste stupidaggini quella volta che… e sorride… ride di me, che mi sto sforzando di raccontare in tutta onestà. (Troppo spesso consideriamo il sorriso un segno di vittoria della nostra razionalità e ironia sulle stranezze della vita, quando invece può essere sintomo della peggiore delle sconfitte: il sorriso è una forma di paura, in certi casi; gli adolescenti ridono del sesso, ridono quando sentono parole come pene o vagina…)
Ma ho già divagato abbastanza. La prima volta che si manifestò il fenomeno non ebbi praticamente alcuna reazione. Ero solo in casa e trovai un posacenere capovolto sul divano del soggiorno. I mozziconi e la cenere sparsi un po’ ovunque, come se il posacenere avesse fatto un salto, dal tavolino di fronte al divano, fino al divano stesso. Come fa uno a pensarci su più di cinque minuti? Eppure era mattina, ero solo in casa, nessun ospite la sera prima, nessuna finestra aperta, niente che potesse neanche lontanamente giustificare una cosa del genere. Non ci pensai più di due minuti, anzi, da subito mi infastidì il fatto di dover pulire. Vivere da soli porta con sé alcune conseguenze, come il fatto che pulire diventa una sorta di lusso che ci si concede una volta ogni tanto…
E poi ero in ritardo, quindi ripulii grossolanamente e andai a lavoro.
Al mio ritorno tutto era al suo posto. Certo, razionalista com’ero, solo una piccola percentuale di me si aspettava di trovare qualcosa fuori posto, ma l’ordine (si fa per dire) della casa mi confortò nella certezza che, per qualche ragione, un posacenere si era ribaltato facendo un salto di circa mezzo metro e si era rovesciato sul divano.
Col passare del tempo i fenomeni aumentarono. Piccole cose, certo: un piatto rotto, la tv che si accendeva da sola, fiammiferi sul pavimento, un tozzo di formaggio nella credenza (mi ricordavo di averlo lasciato nel frigo), un fornello acceso… finché un giorno trovai un giornale sul lampadario.
Pensare è un po’ come respirare. Non si può smettere di pensare, finché si è vivi, e neanche di respirare, neanche mentre si dorme. Ma con la respirazione si può cambiare l’umore di una persona, ci sono tecniche di respirazione che lo permettono. C’è modo e modo di respirare, insomma. E c’è modo e modo di pensare.
I giorni passavano e io cominciavo a pensare in modo diverso. Considerai il fatto che non avevo paura, qualunque cosa fosse, non avevo paura. E ne ero in qualche modo compiaciuto.
Ma una notte mise a dura prova i miei nervi, e vinse.
Mi ero messo a letto da poco, avevo letto due pagine di un libro sulla seconda guerra mondiale e mi si erano chiusi gli occhi sulla parola “bombardamento”. Con gli occhi già chiusi lasciai cadere il libro a terra e spensi la lampada sul comodino. Non so da quanto tempo mi ero addormentato quando sentii… non so bene come definirlo… in genere si usa la parola “colpo”… e cioè un rumore sordo accompagnato da una vibrazione nelle pareti, nel pavimento… che arriva a te come un piccolo spostamento d’aria… al primo colpo ne seguì un altro… aprii gli occhi nel buio… e cercando di acquistare equilibrio e lucidità, provai a capire da dove venissero i rumori. Un altro colpo mi fece sussultare, quasi saltare sul letto. I rumori venivano proprio da lì, sotto di me, sotto il letto. Tremante, mi sporsi dal materasso. Cautamente spostai una mano verso il basso, verso il lembo delle coperte che sfioravano il pavimento quando una mano gelida mi afferrò il polso e mi trascinò giù dal letto. Caddi pesantemente a terra e da sotto il letto intravidi il suo volto tumefatto e grigio. Che nonostante tutto manteneva le tracce di una bellezza struggente. Urlai. E persi i sensi.
Mi risvegliai la mattina dopo sul pavimento. Dolorante e confuso.
Dopo quella notte cominciai ovviamente a dubitare della mia sanità mentale. Qualche giorno dopo presi un appuntamento con un medico specialista in problemi del sonno.
Visto che ero un po’ in anticipo, mi fermai in un bar nei pressi dello studio medico per un caffé. Sorseggiavo con lo sguardo nel vuoto e mi accorsi appena di una donna, o meglio una ragazza sui vent’anni, vestita con un abito lungo, che mi passò vicino. La ragazza, dopo avermi superato, tornò indietro. Me ne accorsi solo quando poggiò una mano inanellata sul bancone. Ci guardammo negli occhi. Ed ebbi paura. Fermo, paralizzato dal terrore, non riuscivo a dire una parola: era la copia esatta della ragazza sotto il letto. Cominciai ad avvertire la pelle d’oca invadere ogni centimetro della mia pelle. Lei se ne accorse e cercò di calmarmi. Si presentò, si chiamava Miriam. Ma non mi tranquillizzai più di tanto. Ero bloccato. Non volevo urlare nel bar, ma forse non ci sarei neanche riuscito.
La ragazza mi tese la mano. Quel gesto mi sciolse un po’ e dopo un momento, riuscii a trovare la forza di reagire. Sentire la sua mano calda stringersi nella mia, finalmente, mi calmò.
Miriam, dopo essersi scusata per il disturbo, senza altri preamboli mi parlò di sua sorella Emilia, scomparsa, nel vero senso della parola, circa due anni prima. Miriam mi spiegò che da quasi un anno avvertiva la presenza della sorella nei posti più impensati, e questo, in qualche modo, l’aveva convinta del fatto che la sorella fosse morta e tentasse di comunicare con lei. Vedeva negli occhi delle persone il suo passaggio, trovava le sue tracce psichiche e le seguiva: questo pensava. E per questa ragione Miriam si trovava lì in quel posto, a quell’ora. Non sapeva spiegarmi meglio, mi disse, quello che le stava accadendo, ma quella sera, in quel bar, aveva visto me e aveva visto di più. E questo l’aveva spinta a superare la soglia della discrezione e a parlarmi a viso aperto.
A quel punto mi chiese di raccontarle cosa avessi visto. Me lo chiese molto gentilmente.
E io le raccontai dell’apparizione. La vidi incupirsi e, dopo il mio racconto, rimase un po’ assorta nei suoi pensieri. Interruppi quel silenzio chiedendole se potesse esserle in qualche modo d’aiuto venire a casa mia per vedere dov’era successo. Lei, dopo qualche indugio, si convinse.
Una volta in casa, in un momento in cui era girata di spalle, le strinsi un laccio intorno al collo e tenni stretto finché non perse i sensi. Presi due giorni di permesso dal lavoro, comprai dell’acido in ferramenta e sciolsi il corpo di Miriam nella vasca da bagno.
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mercoledì, luglio 18, 2007
il corpo
Romano quella mattina, entrando in macchina, era del tutto rilassato. Per lui, quel giorno, iniziava l’ultima settimana di lavoro prima delle ferie.Aveva trascorso il fine settimana con la famiglia nella villetta al mare, era riuscito finalmente a giocare col figlio di cinque anni, Luca, sguazzando nel mare e rimproverandolo quando esagerava, esercitando insomma la sua funzione di padre, quella che lui sentiva, a causa del suo lavoro, di non esercitare a sufficienza. Trovava in effetti troppo morbida l’educazione che sua moglie, Lara, dava al loro pargolo, e questo lo portava, la sera, quando tornava a casa dal lavoro, a cogliere ogni occasione per rimproverare il piccolo, ma non gli piaceva troppo. Voleva sì rimproverarlo, ma gli sarebbe piaciuto anche avere più occasioni per giocarci, per dimostrargli il suo affetto, per fargli capire che non era solo un cerbero, pronto a scagliarsi contro di lui alla minima occasione. Fra l’altro, la sera prima, era riuscito a fare due cose che non gli riuscivano da tempo: andare a letto presto (dopo aver congedato con garbo degli ospiti un po’invadenti) e fare l’amore come si deve con sua moglie. Per questo quella mattina era rilassato, e soddifatto.Si era alzato con calma, aveva dato un bacio sulla fronte di Lara ancora addormentata; cercando di fare il più piano possibile, si era fatto la doccia, un caffé, si era vestito, aveva sbirciato dalla porta socchiusa della sua stanza Luca che dormiva e, sempre in silenzio, era uscito da casa e aveva raggiunto la macchina nel vialetto della sua villetta, chiuso da un pesante cancello di ferro battuto.Aveva aperto piano il cancello, girandovi tre volte le chiavi nella toppa, ne aveva spalancato le ante, e solo dopo queste operazioni aveva schiacciato il pulsantino del telecomando per disattivare l’allarme e aprire la macchina. Rilassato e soddisfatto. Non appena entrò in macchina però, fu assalito da un odore nauseabondo, un odore a metà fra un sacco della spazzatura pieno da tre giorni e quello di un camion dello spurgo.Pensò che fosse dovuto allo scarico dell’aria condizionata, aveva sentito dire che a volte causava quel problema. Avviò la macchina e partì, dopo aver acceso radio e aria condizionata. Sulla strada ascoltava tranquillamente l’autoradio, le previsioni del tempo, e intanto attendeva che il puzzo svanisse.Ma questo non succedeva. A poco a poco, uno strano nervosismo sfumò sulla sua serenità e, con ferma delicatezza, ne prese il posto.Romano, imboccata l’autostrada, a circa due chilometri di distanza dalla sua villetta di villeggiatura, e a circa venti chilometri dal suo posto di lavoro, fermò la macchina in una piazzola di sosta, deciso a scoprire la causa di quell’odore insopportabile. Nervoso, scese dalla macchina e ci girò intorno fino al bagagliaio. D’istinto lo aprì e… e lo spettacolo che gli si parò dinanzi agli occhi gli fece salire veloce un conato di vomito lungo lo sterno. Ciò lo spinse a raggiungere il guardrail per appoggiarvisi e vomitare un misto di saliva acida e caffé che gli era salito rapidamente dallo stomaco. Prima di andare avanti ci tengo a dire che Romano nel suo bagagliaio aveva appena visto il cadavere, di un uomo o una donna, in stato di decomposizione, con addosso degli abiti a brandelli; era sistemato in posizione fetale e i denti, ormai scoperti dalla carne rattrappita delle labbra, disegnavano sul volto tumefatto un sorriso macabro. Dopo aver per qualche minuto cercato di assecondare il moto del suo stomaco con dei conati tanto vani quanto violenti, Romano cercò di riprendere il controllo. Con il fazzoletto premuto sulle labbra e ancora appoggiato al guardrail, si poneva delle domande alla rinfusa: come ci era finito lì quel corpo? Chi ce l’aveva portato? Che significava? Lo volevano incastrare? Sì, perché insomma, uno che vuol nascondere un corpo può ben sotterrarlo, e non metterlo in un bagagliaio, dove di sicuro sarebbe stato scoperto. E poi perché proprio il SUO bagagliaio? E come avevano fatto? Come superare il pesante cancello di ferro battuto, come aprire il bagagliaio senza fare scattare l’allarme della macchina? Come fare tutto questo senza il minimo rumore? Gli venne in mente una parola: POLIZIA. Doveva chiamare la polizia. Andò alla macchina e tirò fuori il suo cellulare. Compose il centotredici e spiegò confusamente la situazione al centralinista.Circa venti minuti dopo due volanti della polizia lo raggiunsero.Davanti al grottesco spettacolo, gli agenti non credevano ai loro occhi. Romano cercò di dare delle spiegazioni, ma era evidente che c’era della diffidenza nei suoi interlocutori. Dopo aver steso un breve verbale secondo le dichiarazioni di Romano, gli agenti lo invitarono a seguirlo in questura. Romano se lo aspettava e chiese solo di non guidare lui la sua macchina. Gli agenti lo accontentarono. L’interrogatorio fu lungo e faticoso, fidatevi. Non solo. Anche Lara e Luca furono prelevati da casa da una pattuglia e tradotti in questura, e anche a loro vennero poste delle domande. Romano, direttore di banca, aveva conosciuto per lavoro il commissario, che li raggiunse a interrogatorio terminato. Chiacchierarono della faccenda, entrambi straniti. Poi, grazie all’intervento del commissario, Romano, Lara e Luca vennero congedati, e gli venne anche riconsegnata l’auto. Era estate da più di un mese. Il corpo fu subito trasportato all’obitorio e l’autopsia fu fissata per l’indomani: il patogolo reperibile, raggiunto via cellulare, era bloccato nel traffico a un casello dell’autostrada… Il mattino dopo, di buon ora, verso le otto, il patologo, Sara, entrava nell’obitorio con grembiule verde e guanti in lattice, sicura di trovare il corpo già pronto per l’autopsia. Ma così non fu. Sara, con fare gentile ma fermo, chiese all’addetto come mai il corpo non fosse pronto. L’addetto giurò più volte di aver preparato tutto già dalla sera prima. E controllarono mille volte documenti e scomparti. Ma del corpo neanche l’ombra. Sara avvertì subito il commissario per telefono. Il commissario, appresa la notizia, attaccò sbigottito; in quello stesso momento squillò ancora il telefono. Era Romano: il corpo era di nuovo nel suo bagagliaio.
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lunedì, luglio 16, 2007
la casa sulla scogliera
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Penso sia opportuna una premessa. Nello spazio la destra e la sinistra sono definizioni che cambiano al cambiare del punto di vista dell’osservatore; così come “avanti” e “dietro”, tanto che spesso usiamo queste definizioni in base ad alcune variabili, come il nostro stato psicologico: non possiamo dire con assoluta certezza e oggettività se siamo il primo degli ultimi o l’ultimo dei primi in una fila, o se un bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto.
E così cambiamo il nostro modo di esprimerci, a secondo se il bicchiere lo vediamo mezzo pieno o mezzo vuoto; e, in fin dei conti, cambiamo la realtà dei fatti, definendo il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto.
Questa elasticità che abbiamo quando ci riferiamo alla supposta realtà “materiale” delle cose, lo spazio e i volumi negli esempi fatti, manca quando si parla di tempo. Avanti o indietro nel tempo per noi significano cose chiare, chiarissime. Prima e dopo, altrettanto.
Eppure la scienza sembra avere dei dubbi, a tal proposito, da una cinquantina d’anni a questa parte.
Questa storia è successa “davvero” a un secondo cugino di una zia acquisita di mia moglie, per cui userò solo le iniziali dei nomi dei protagonisti.
L, il secondo cugino della zia di mia moglie, si era da poco sposato con F . Disponendo di una consistente riserva di entusiasmo e di soldi, i due acquistarono una casa appena costruita in un complesso residenziale sulla scogliera di P., in Toscana.
Appena due mesi dopo il matrimonio, circa venti giorni dopo essersi stabiliti nella nuova abitazione, L e F traslocarono e vendettero la nuova proprietà.
Stando a quanto mi è stato riferito, nulla che non andasse: riscaldamento, posizione, comodità varie, tutto perfettamente in ordine.
I loro conti in banca erano a tal punto in buona salute che acquistarono una nuova casa prima di riuscire a vendere l’altra.
Non dettero alcuna spiegazione credibile per questo gesto, salvo qualche vaga allusione a delle presunte emicranie di F dovute alla vicinanza del mare.
Effettivamente la motivazione non era convincente, soprattutto per il modo frettoloso e vago con cui in genere veniva manifestata.
La zia di mia moglie voleva vederci chiaro, e decise di prendere in mano la situazione: “single”, 60 anni, parecchio tempo a disposizione, era tormentata da questa storia, doveva a tutti i costi saperne di più.
Decise così di invitarli a cena, invito che i due furono ben lieti di accettare essendo in corso il loro secondo trasloco nel giro di poco tempo.
La zia aveva preparato una strategia per spingerli a raccontare la verità. Ora, per farla breve, non so dire quale fosse di preciso questa strategia, ma si dimostrò efficace quando, al momento del dessert, e dopo aver inzuppato i due di Montepulciano e Limoncello, la zia fece la fatidica domanda.
L e F si guardarono negli occhi. I freni inibitori erano stati allentati dall’alcol e le loro difese erano notevolmente ridotte.
L considerò ad alta voce, rivolto a F, che la casa ormai era stata venduta, e non dovevano più temere che si spargessero certe voci... poi, con lieve imbarazzo, dopo un rapido sguardo alla zia, disse anche che della zia ci si poteva fidare. F abbassò gli occhi e annuì silenziosa.
L iniziò da una premessa: probabilmente erano stati vittime di un’allucinazione dovuta al Mezcal che avevano portato dal Messico, meta del loro viaggio di nozze.
La terza notte che dormivano nella nuova casa, i due giovani sposi avevano cominciato a sentire rumori e scricchiolii. All’inizio avevano pensato si trattasse di normali rumori di assestamento di una casa appena costruita, se non ché questi rumori si erano fatti di giorno in giorno più definiti, più chiari, finché una notte, verso le tre del mattino, distinsero chiaramente il rumore dello sciacquone e dei passi che si allontanavano dal bagno. I due, allora, eccitati e spaventati allo stesso tempo, si alzarono dal letto, si armarono di una pesante torcia elettrica e di un tagliacarte, e si avviarono verso la cucina, dove sembrava si fossero diretti i passi. La luce in cucina era accesa, F e L si spalmarono sul muro appena fuori dalla cucina, vicino alla porta e, pian piano, si sporsero fino a sbirciarci dentro. Una donna, di spalle, preparava un caffé in vestaglia. Sistemata la caffettiera sul fornello, la donna si girò verso di loro per andare a sedersi al tavolo al centro della stanza. La poterono così guardare in volto: era l’espressione stessa della tristezza, sciatta e spettinata, due profonde occhiaie marroni incorniciavano due fessure strette in cui a stento si distingueva il bianco degli occhi. La donna si sedette a una delle sedie intorno al tavolo, puntò i gomiti sul tavolo e si prese la testa fra le mani. E dopo un attimo scoppiò a piangere. L e F erano quasi decisi a venire allo scoperto per consolare la donna, senza chiedersi perché e per come, quando la donna si alzò dalla sedia con uno scatto improvviso, andò verso la credenza, aprì il cassetto, tirò fuori un coltello e si incise profondamente le vene dei polsi spargendo sangue sul pavimento della cucina. L stava per andare a soccorrerla quando si sentì tirare da dietro: F, perdendo i sensi, si aggrappava a lui in un estremo residuo di coscienza. L riuscì a prenderla in tempo ed evitarle di cadere a peso morto sul pavimento ma, quando si rigirò verso la cucina per controllare la situazione, tutto era scomparso: non c’era più traccia della donna, del sangue, del caffè...
L trasportò F in camera da letto e la fece riavere con un po’ d’acqua fresca e qualche piccolo schiaffo sul volto. Quando F si riebbe, L le raccontò di come tutto fosse svanito nel nulla. La mattina dopo abbandonarono frettolosamente la casa, andarono ad alloggiare in un albergo e contattarono un’agenzia per la vendita della casa.
La zia raccontò la storia a mia moglie, e così è arrivata a me. Avendo fin da piccolo una consistente passione per le stranezze, la storia mi ha incuriosito a tal punto che ho fatto di tutto per avere un incarico dalla compagnia per la quale lavoro proprio a P., la località in cui erano avvenuti quegli eventi sconcertanti.
Dovendomi trattenere una settimana, nei momenti liberi provai a indagare.
Per prima cosa andai a vedere la casa: niente di particolare, se non il fatto che mi era stata descritta in modo nettamente migliorativo. Era, alla fine, abbastanza anonima, un cubicolo di cemento armato, circondato da un giardino stretto e squadrato a non meno di centro metri dalla costa, un punto in cui la sabbia lasciava il posto a delle formazioni rocciose che solo con grande slancio emotivo si potevano definire “scogliera”. Riuscii a contattare un appassionato di storia locale e gli chiesi se in quella posizione fosse mai sorta un’altra dimora, un cimitero o qualcos’altro, ma lo storico mi rispose che non gli risultava niente di tutto questo. Feci un salto dal notaio e, con non poca abilità riuscii a farmi dire a chi fosse attualmente intestata. Scoprii che negli ultimi tre anni la casa non aveva più cambiato proprietario. Probabilmente il fenomeno, se di fenomeno si trattava, non si era più ripetuto. Era intestata a un tale B.E.
Insomma, niente di interessante.
La settimana passò e io finii il mio lavoro.
Il giorno della partenza, scesi dalla mia stanza dell’albergo con le valigie e notai una certa agitazione. Dai brandelli di discorsi, confermati poi dalle notizie di un giornale locale che acquistai appena uscito dall’albergo, venni a sapere che una donna si era suicidata in paese quella notte.
In quella casa.
Si era tagliata le vene.
La storia finì per intristirmi, e provai a dimenticarmene. Tuttavia, una serie di coincidenze accadute di recente, mi spingono, se non a trarre conclusioni, quanto meno a riconsiderare l’intera vicenda.
La zia di mia moglie è morta di infarto poco dopo il suicidio della donna nella casa di P. Sembra sia stata abbastanza discreta nel divulgare la storia dei due sfortunati.
Mia moglie, in seguito a un brutto incidente, ha perso parte della sua memoria, per fortuna sembra aver perso il superfluo e conservato l’essenziale; giorno dopo giorno, sta lentamente ricostruendo un nuovo mondo di piccole cose, e i medici sono ottimisti. Hanno avvertito però che nessun ricordo precedente riaffiorerà, e tutto il superfluo sarà composto da ricordi nuovi; a detta dei medici, inoltre, non è assolutamente opportuno che qualcuno o lei stessa, provi a ricostruire il superfluo rimosso.
Anche L e F non ci sono più.
L è ormai da un anno rinchiuso in una casa di cura.
F è morta poco prima.
L e F avevano avuto un figlio, morto a due anni per un incidente domestico. L sporcò il suo dolore incolpando F della morte del figlio. E la lasciò. F, sola e disperata, si tolse la vita. L invece resistette per circa due mesi, prima di prendere l’abitudine di andare al parco vestito solo di giornali per annunciare la fine del mondo.
È una storia questa? Fatti e personaggi sembrano somigliare e sovrapporsi, seguendo una logica arcana, allineandosi come pianeti sulla carta di un astrologo, accomunati solo da una sorta di indifferenza al tempo che forse è solo la considerazione del tempo da un altro punto di vista... non so... o forse sono io che ricostruisco il tutto cercando di dare una logica al caso, un senso alla tragedia… dando peso alle allucinazioni di due pazzi e ai pettegolezzi di una vecchia zia… non so…
Abdico al foglio e alla penna il compito di recarne testimonianza; al lettore, se vorrà, la facoltà di trarre conclusioni.
astrosio 2007, all rights reserved
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il più grande gelato del mondo
secondo me il più grande gelato del mondo non esiste perché si scioglierebbe. o magari uno che proprio vuole fare un gelato gigante deve andare al polo nord. o al polo sud. ma a quel punto non servirebbe a niente. perché uno che se ne fa di un gelato al polo? quindi sarebbe un'impresa a dir poco sconsigliabile. chi è che finanzierebbe un'imprese simile? una spedizione al polo per fare un gelato gigante. credo nessuno. si dovrebbero trasportare macchinari, ingegneri, cuochi e ingredienti. poi ammesso che tutto ciò si verifichi, bisognerebbe risolvere un'altra montagna di problemi. tutto per un gelato gigante. che poi insomma il gelato è buono, è vero, però un gelato enorme farebbe male. chi se lo mangia? non è che puoi neanche dire: vabbe', lo facciamo e poi lo mandiamo in africa ai bambini che muoiono di fame. perché fa troppo caldo. e bisognerebbe insomma trovare un sistema per trasportare quel gelato così grande in africa. quindi mi sento di sconsigliare a qualsivoglia miliardario eccentrico un'impresa di questo tipo. anche se, in tutta onestà, se qualche miliardario eccentrico non seguendo il mio consiglio decidesse di fare un'impresa simile, io ne sarei felicissimo. però non potendomi permettere di finanziarla io in prima persona, ho il dovere morale di sconsigliarla. poi non posso certo impedirla. anzi, se potessi fare qualcosa per aiutare nella realizzazione di questa impresa, lo farei volentieri. ecco. mi sembrava un argomento di assoluto interesse e importanza. e prima che qualcuno ci pensasse, volevo manifestare la mia posizione a riguardo.
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venerdì, luglio 13, 2007
esclusiva - le magliette astruse
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giovedì, luglio 12, 2007
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artespam
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>Da:
>A: "Guiberto Tedeschi" <>
>Soggetto: Mi trovo in una particolare situazione
>Data: Lun,6 Giu 2007 09:43:20 -0400
>Come ti va?, ti scrivo per la mia situazione particolare Io e la mia
>ragazza ci amiamo e abbiamo cura l'uno dell'altro, ma nelle ultime
>occasioni ho sofferto di impotenza. Hai capito il problema
So che sei stato ben informato a riguardo, e ho bisogno di aiuto, mi puoi aiutare a trovare una soluzione?
>Ci vediamo
>Fedro D. Hossain
>
Fratello:
Ho pensato non volessi scrivermi. E' un peccato che tu abbia questo problema. Questa cosa è la migliore soluzione, non c'è alcun dubbio (facilmente reperibile su internet) sono formule naturali. Verificalo http://highest.redorb.co.uk/ . Sono davvero i migliori nessun effetto collaterale.
è la prima cosa che dovresti provare.
Ciao
Guiberto Tedeschi
>A: "Guiberto Tedeschi" <>
>Soggetto: Mi trovo in una particolare situazione
>Data: Lun,6 Giu 2007 09:43:20 -0400
>Come ti va?, ti scrivo per la mia situazione particolare Io e la mia
>ragazza ci amiamo e abbiamo cura l'uno dell'altro, ma nelle ultime
>occasioni ho sofferto di impotenza. Hai capito il problema
So che sei stato ben informato a riguardo, e ho bisogno di aiuto, mi puoi aiutare a trovare una soluzione?
>Ci vediamo
>Fedro D. Hossain
>
Fratello:
Ho pensato non volessi scrivermi. E' un peccato che tu abbia questo problema. Questa cosa è la migliore soluzione, non c'è alcun dubbio (facilmente reperibile su internet) sono formule naturali. Verificalo http://highest.redorb.co.uk/ . Sono davvero i migliori nessun effetto collaterale.
è la prima cosa che dovresti provare.
Ciao
Guiberto Tedeschi
p.s. l'immagine non c'entra molto, ma spaccava oltremisura.
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mercoledì, luglio 11, 2007
cultura classica
essendomi stamattina dimenticato di conferirmi i poteri soliti, me li conferisco orora e a mio insindacabile giudizio sostengo quanto segue. la cultura classica ha rotto i coglioni. è diventata una cazzo di panacea per tutti i mali d'italia. e gli italiani, coglioni, ci credono e se la bevono. il governo fa cagare? vabbe', sì, ma tanto noi abbiamo la cultura classica. non arriviamo a fine mese? vabbe', sì, ma noi abbiamo i greci, i romani. milano è una delle città più inquinate d'europa? vabbe', ma noi teniamo la cultura classica. napoli affoga nell'immondizia? evvabbe', però, capisci, noi abbiamo la cultura, la tradizione millenaria, è normale che siamo disincantati, capisci? la cultura classica... il cinema italiano fa schifo? e vvabbe', che c'entra, sono gli altri che non lo capiscono, in quanto non hanno la cultura classica. e quanto mi stanno sul cazzo quelli che dicono che senza la tragedia greca non avremmo la narrativa moderna! è come dire che senza le ruote non avremmo le automobili! e quindi bisogna ringraziare l'anonimo inventore della ruota se oggi abbiamo le automobili! MA VAFFANCULO ALLA CULTURA CLASSICA!
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Dii
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martedì, luglio 10, 2007
la verità
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ho il sospetto che molte cose che noi crediamo siano vere, poi non siano tanto vere. cioè, un po' vere magari lo sono. ma non al cento per cento. vere a metà o a tre quarti, o a un quarto. non lo so. ma qualcuno ha mai misurato la verità? esiste un'unità di misura per la verità? o c'è solo tipo per i litri, i chili, i suoni eccetera. e volendo usare altre unità di misura, quanto pesa la verità. se per esempio vogliamo misurare il peso della verità di un concetto, ci saranno concetti che pesano di più e concetti che pesano di meno. secondo me. anzi no. come al solito, a mio insindacabile giudizio e in virtù dei poteri che mi sono conferito. e si badi che me li conferisco ogni mattina. quindi sono sempre freschi di conferimento. e siccome me li conferisco io, sarebbe veramente assurdo che me li tolga da solo. pertanto quanto ho affermato in precedenza è assolutamente vero.
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lunedì, luglio 09, 2007
arachne
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Cioè quando non si può ridurre la dialettica all’essere, posto che la dialettica sia antitetica all’essere. Ma allora la psicologia che cos’è se non un tentativo di ridurre l’essere alla dialettica? In questo senso, è molto borghese. Posto che borghesia sia tutto ciò che è antieroico e organizzato in categorie. Dove il buon senso del buon padre di famiglia, del buon commerciante medio, in sostanza, che non si deve inimicare nessun potenziale cliente, la fa da padrone. Sostanzialmente psicologia e borghesia sono predicati reciproci. Non si ha psicologia senza borghesia e non si ha borghesia senza psicologia. La psicologia rende la dialettica onnipotente: tutto può esservi ricondotto, incasellato, categorizzato. In un orizzonte antieroico in cui ogni spunto, ogni picco, ogni lato forte di un carattere viene definito “patologico”. E allora Astrosio comincia a danzare. Sul limite, sul confine, sulla soglia dove non si può ridurre una parola a una cosa e una cosa a una parola. Lì è il regno dell’Astruseria. E se qualcuno pensa che sono pazzo, ovviamente, me ne fotto.
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binomi
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domenica, luglio 08, 2007
Molly Malone
in Italia siamo astrusi quasi per niente. A noi italiani l’astruseria non ci piace. Se pensiamo che questa canzone di cui ho fatto il video è una sorta di inno degli irlandesi, mi si accappona la pelle. È la storia astrusa di una venditrice ambulante di cozze che muore di febbre e poi il suo fantasma continua a vendere le cozze. Punto. Poi c’è il sottotesto tipo che era anche una puttana che blablabla, ed era una cosa tipica di Dublino, e blablabla. Certo, non è che una cosa diventa un inno così a cazzo. Un motivo ci deve essere. Però in Italia col cazzo che una cosa del genere diventava l’inno di qualcosa. Non di questi tempi quantomeno. Dove ci stiamo a sentire le cose di Dante declamate da Benigni per sentirci belli. Spero che la storia e la canzone vi piacciano quanto a me. E grazie a Moya per avermi fatto tornare in mente il tutto.
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sabato, luglio 07, 2007
ricatto a richiesta
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venerdì, luglio 06, 2007
un fatto vero
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giovedì, luglio 05, 2007
casetta in canadà
Stavo pensando stamattina a quanto sarebbe bello vivere in una casetta su un laghetto, tipo in Canada. E non avere altra preoccupazione che quella di andare a pesca la mattina. Ma nel senso che puoi pescare con le gambe penzoloni dal portico di casa tua. Poi però ripensandoci, non avere altra preoccupazione, ogni mattina, che quella di andare a pesca, preparare gli ami, le esche, la canna, il cestino della colazione, eccetera, ho cominciato a sospettare che deve essere una gran rottura di coglioni. E poi, metti che il lago è pescosissimo, e prendi quindi ogni fottuto giorno un fottio di pesci, poi che fai? Mangi sempre pesce? O te li vendi? Ennò! Perché se te li vendi allora non è vero che non hai altre preoccupazioni. Devi prendere tipo il camioncino, andare in paese, trovare il pescivendolo, contrattare il prezzo e cazzi e mazzi. Quindi ci sarebbe il problema del pesce. Né mi convince a me il fatto di fare come quelli che fanno pesca sportiva che ributtano i pesci in acqua. Chiamatemi cattivo, bestia, come volete, ma se io pesco o caccio una cosa (pesca e caccia non rientrano, comunque, nelle mie attività solite), io quella cosa poi me la tengo. No che la ributto in acqua. Ma mettiamo allora che mi compro un mega congelatore dove ci metto il pesce a congelare (be’, non è che ci sono molte alternative): prima o poi si riempirà no? e il problema del pesce rimarrebbe. E se va via la corrente? Se c’è un blackout e io mi ritrovo con milioni di pesci che si putrefanno dentro casa? No, secondo me quell’idea della casetta sul lago succhia. Succhia un sacco. Preferisco avere qualche preoccupazione in più, ma non correre il rischio di avere la casa piena di pesce putrefatto. Eccheccazzo.
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mercoledì, luglio 04, 2007
adattamento
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"On unbent leaf, in fairy guise/Reflected in the water,/Beloved, admired by heart and eyes,/Stands Annie, Paxton's daughter.
Accept a wish, my little maid, /Begotten at the minute,/That scenes so bright may never fade,/You still the fairy in it.
That all your life, nor care, nor grief/May load the winged hours/With weight to bend a lily's leaf,/But all around be flowers."
Da allora una miriade di coglioni ha messo bimbi sopra le ninfee e ha fatto le foto da vomito che tutti conosciamo. Le cose evolvono, cambiano, si adattano. A volte in male, a volte in bene. Capita alle cose, alle piante, agli esseri umani. Un po’ come Belzoni, che da uomo forzuto del circo divenne sommo archeologo, così il giardiniere che mise la figlia Annie di sette anni vestita da fata sopra a una ninfea, divenne sommo architetto: nel 1850 progettò, modellandolo sulle nervature della Victoria Amazonica, il Crystal Palace, un edificio in vetro destinato a ospitare l’Expo. Circa sette ettari di salone espositivo realizzato con un’intelaiatura di travi di ferro che sosteneva circa trecentomila lastre di vetro. E Alessandra Rotundi, che per comodità si è portata una cometa in laboratorio, ha scoperto che forse tutto è partito da lì. E ha dato vita a ninfee giganti, bambine vestite da fate e archeologi astrusi.
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trentasei
Grazie ai miei poteri taumaturgici, ho trasformato un commento in un post. Come già è successo altrevolte.
...mi consolo del mio essere comunque difettivo, nono di fibonacci e sesto di markov, ma pure selenico e napoletan-smorfiosamente cefaleo (e poi non si dica che non v'è attinenza tra le ultime due cose), mi compiaccio d'essere costante nella magia ed ancor più ettagonale, piccolo abbastanza da poter essere espresso per quattro diverse volte da due primi accoppiati, senza contare che pigiandomi si arriva in Spagna. Olè!!!
by Astarte
Etichette: numeri
martedì, luglio 03, 2007
locandina II
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lunedì, luglio 02, 2007
caffè latazza
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un amico strano
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C’era un amico mio che usciva pazzo per raidue, ma proprio pazzo. C’aveva i poster in camera, di raidue, gli potevi dire che la mamma era puttana, che la fidanzata era racchia, ma non gli potevi dire che raidue era una emittente tutto sommato mediocre. No, lui proprio non voleva sentirne parlare. Conosceva a memoria tutti i palinsesti di raidue nella storia. Conosceva tutti i presentatori dei telegiornali della storia di raidue. Sapeva a memoria tante altre cose su raidue che ora non mi ricordo. Era un tipo strano, certo, ma non è che io uscivo pazzo per lui, come lui usciva pazzo per raidue, tanto da ricordarmi tutto quello che lui si ricordava. Io me lo ricordo solo perché aveva sta cosa per raidue. E spesso si lamentava che a raidue non si dava il meritato riconoscimento. Diceva: tutti a parlare di raiuno, che è la più antica, di raitre, che è comunista, eccetera. Insomma, se si parlava con lui, non c’era trippa per gatti, prima o poi si finiva a parlare di raidue. Infatti io spesso evitavo di parlare con lui perché tutto sommato non trovavo l’argomento interessante. E infatti anche questo post è finito.